La "solitudine", dover d'essere del giudice imparziale
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Sebastiano Ardita
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Piercamillo Davigo |
"Alla crisi della
giustizia e del suo autogoverno - che è espressione della crisi della
politica e della società i giudici non devono rispondere cercando di
essere credibili agli occhi della politica - ma con un ritorno alla
forza del giudicare, all'esserci del giudice , al suo "Dasein"."
È quanto sostengono Sebastiano Ardita e Piercamillo Davigo nel loro
Saggio "il magistrato imparziale" uscito sul nuovo numero di Micromega.
Nello
scritto si pongono le condizioni per un rilancio politico e culturale
della figura del magistrato indipendente, - affinché egli non si limiti
a contrapporsi a coloro che sposano una linea politica della giustizia,
ma si impegni
politicamente per reclamare gli strumenti della sua impoliticità.
"Si
è fatta strada l’idea che le contraddizioni istituzionali, le
infedeltà, le ragioni dell’economia, la ragion di stato, messe in
luce... nei processi, dovessero essere risolte con un passo indietro
del giudicare – o dell’investigare – e non già con soluzioni politiche" -
sostengono Davigo ed Ardita con riferimento alle recenti polemiche
sulla giustizia.
Ma
gli autori non risparmiano critiche neanche a quanti nel passato hanno
ritenuto di utilizzare la giustizia come strumento delle lotte operaie,
né al sistema di autogoverno interno che ha prodotto " una magistratura
precaria e intimidita nella base ma forte e decisionista nel suo
vertice".
Piercamillo
Davigo - componente dello storico pool di Mani Pulite ed
attualmente giudice della Corte di Cassazione - e Sebastiano Ardita -
procuratore aggiunto di Messina - denunciano anche il nichilismo dei
nostri giorni, "dentro la politica come dentro la magistratura",
rilevando come " da più parti si invochi un giudice eco-compatibile con
il potere, impiegato produttore di sentenze, che giuri obbedienza non
alla legge, ma all’autorità, alla disciplina di partito o di corrente,
al politicamente opportuno."
La
soluzione invocata è quella di una tutela dei "giudici soli" che si
preoccupi dell'indipendenza in concreto dei singoli magistrati e di un
rilancio di una "idea forte" della giustizia ricavata da argomenti
filosofici tratti da autori come Hans George Gadamer e Karl Jaspers,
come Jhering ed Heidegger. Ma non mancano riferimenti a Papa Francesco
nell'auspicare una giustizia ispirata dal coraggio e proiettata verso il
Trascendente, nella
dimensione del giudice solo con la sua coscienza che, all'interno ed
all'esterno, " non sia impaurito dalle correnti, dalla politica, dal
carico di lavoro, dal disciplinare".
Viene
infine legittimata la dimensione della lotta alla mafia ed ai fenomeni
criminali, poiché -secondo l'insegnamento di Jhering nel suo "kampf ums
recht, la lotta per il diritto" - "qualsiasi traduzione nel concreto
delle leggi comporta un impegno ed una correlativa resistenza". E dunque
la complessità del fenomeno criminale organizzato comporta "costanza,
impegno, iniziativa e comprensione del vero volto dell'illegalita".
Atteggiamenti che devono far parte del bagaglio del magistrato
imparziale rovesciando l'idea che la terzietà possa consistere in
atteggiamenti burocratici e passivi.
Davigo
e Ardita concludono rilanciando l'idea di un giudice umile e cosciente
dei
limiti della condizione umana - lontano "dall’idea di fondare egli
stesso le regole, di sostituirsi col suo agire al legislatore,
all’etica, a Dio" - ma non disposto ad arretrare dinanzi alla verità ed
anzi proiettato senza tentennamenti verso il suo dovere essere (Dasein)
che " corrisponde alla credibilità dello Stato e all’idea forte di
giustizia che si attendono i cittadini".
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