lunedì 29 aprile 2013

Quoad vitam

Giuseppe Giangrande


"72 ore quoad vitam". Dietro il rigoroso termine medico si cela il filo sottile al quale è appesa la vita di Giuseppe Giangrande. 49 anni, brigadiere dei carabinieri, siciliano di Monreale, alle porte di Palermo, vive a Prato.  Rimasto vedovo due mesi fa. La figlia, 23 anni, coltiva una trepida speranza accanto a lui nel reparto di neurochirurgia del Policlinico Umberto primo. Sottufficiale del battaglione mobile Toscana, a Firenze. 

Giuseppe Giangrande, era a palazzo Chigi con una compagnia mandata di rinforzo ai colleghi capitolini impegnati a presidiare i palazzi delle istituzioni mentre il governo giura al Quirinale, Accanto al brigadiere di lungo corso il giovane appuntato Francesco Negri, 29 anni. 

Quando Luigi Preiti li vede sistemare le transenne sul confine ideale tra il sagrato della Camera e quello di Palazzo Chigi, capisce che non potrà portare a termine il suo lucido disegno di follia, colpire i politici, il premier, qualche ministro. I carabinieri gli precludono la strada. L'attentatore spara. 

Giuseppe Giangrande cade colpito al collo. Il proiettile calibro 7.65 scuote due vertebre ledendo il midollo. 

 Francesco Negri, campano, un altro ragazzo del sud emigrato a Firenze per un lavoro con la divisa, crolla per due colpi che lo trafiggono alle gambre. Un proiettile frattura la tibia della gamba destra. L'altro attraversa la gamba sinistra ma fuoriesce senza troppi danni. Francesco è forte. Vorrebbe reagire, rialzarsi con la pistola in pugno. Non può. Nel trambusto squilla il telefonino. E' il padre: il televisore acceso su Rai News, vede quelle immagini drammatiche, per fortuna confuse, non riconosce il figlio a terra ma è preoccupato. Francesco pronto risponde, "sto bene non ti preccupare. Ora ho da fare". 

C'è poco da fare. I colleghi immobilizzano l'attentatore. C'è la corsa in ospedale. Al San Giovanni. Le visite delle autorità, i colleghi protettivi. I medici e gli infermieri premurosi. 

Francesco arriva in barella. L'attentatore, ammanettato, attraversa coi suoi piedi la stessa porta. Una giornata di  emozioni. La visita del generale Leonardo Gallitelli: gli passa al telefono il presidente Giorgio Napolitano. 

I giudici interrogano l'attentatore a poca distanza, confessa tutto. Volevo colpire i politici, poi ho sparato ai carabinieri. Gli investigatori del reparto operativo lo portano via, in carcere.



 C'è il dramma della disperazione. Ma c'è poco da capire. Francesco vuol tornare in piedi, vuol tornare a fare il lavoro che ama. 

Francesco è un carabiniere di quelli che tutelano le nostre vite. Di quelli che fanno scudo ai politici e cadono a terra pur di difendere le istituzioni. 

Francesco riposa con la gamba in trazione e i farmaci a lenire il dolore fisico. Francesco prima di addormentarsi nella camera azzurra al terzo piano del San Giovanni chiede di Giuseppe. E' grave. Lo sa. Rischia la paralisi degli arti. Questo lo sa. Non afferra quella frase in latino. Ma Giuseppe rischia la vita e questo Francesco lo sa benissimo.

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