venerdì 11 novembre 2011

Ricatto allo Stato. Ardita, dg Dap, testimone al processo Mori


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La "TRATTATIVA " entra formalmente nel processo per favoreggiamento aggravato all'ex generale dei carabinieri Mario Mori. 

I pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo contestano all'ufficiale una nuova circostanza aggravante. Dietro l'accordo tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano. Secondo l'accusa, Mori non agì da solo, ma fu "esecutore" di una strategia politica più ampia.

La singolare nomina a vicecapo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria di Francesco Di
Maggio, le manovre, passate anche attraverso la divulgazione di menzogne per mezzo della stampa, per tentare di condizionare la destinazione carceraria del boss Bernardo Provenzano e l'analisi dei documenti relativi alle revoche dei 41 bis ad alcuni mafiosi: sono i punti centrali della testimonianza resa ai pm di
Palermo dal magistrato Sebastiano Ardita, dirigente del Dap dal 2002.



I verbali con le dichiarazioni di Ardita, sentito nell'ambito dell'indagine sulla trattativa tra Stato e mafia,
sono agli atti del processo al generale di carabinieri Mario Mori. Secondo l'accusa, sarebbe stato uno dei protagonisti del "dialogo" tra Cosa nostra e pezzi delle istituzioni. Il direttore generale del "Trattamento" al Dap, su questi temi ha scritto un libro dal titolo "Ricatto allo Stato". Sebastiano Ardita potrebbe essere citato a deporre al processo al generale dell'Arma.

Ai magistrati, Ardita racconta dell'anomala nomina a vicecapo del dap, dopo la rimozione dei vecchi vertici guidati da Nicolò Amato, di Francesco Di Maggio. Per ovviare al fatto che non aveva i titoli
richiesti dalla legge fu fatto un decreto presidenziale ad hoc, a firma dell'allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, che lo nominava dirigente generale dello Stato consentendogli di diventare il numero due del Dipartimento. Sotto la direzione di Di Maggio, allora retto da Adalberto Capriotti, a novembre del
'93, vennero revocati 334 provvedimenti di 41 bis.

Ardita aiuta i pm a ricostruire la documentazione interna del Dipartimento da cui emerge che la volontà di non rinnovare il carcere duro ai 334 mafiosi fu espressa in una sorta di istruttoria interna del Dap ancor prima di richiedere il parere delle forze di polizia.

Il magistrato, per anni pm antimafia a Catania, dove tornerà in servizio nei prossimi giorni, parla di un'esperienza vissuta nel 2006. Dopo la cattura di Provenzano, al magistrato, distaccato come direttore generale al Dap, arrivarono voci su presunte dichiarazioni del figlio del boss Riina. Sapendo dell'arrivo del capomafia nel suo stesso istituto di pena di Terni, si sarebbe lamentato dandogli dello "sbirro". Alludendo così al ruolo nella cattura del padre.




Voci false che, secondo una pista investigativa, erano finalizzate a far trasferire Provenzano in un altro carcere per far sì che questi potesse avere contatti col boss Piddu Madonia. Il tentativo fallì ma anche la stampa diffuse la notizia degli insulti di Riina.

Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo e teste della trattativa, rivelò di aver dato la notizia ai giornali dopo averla appresa da un uomo dei Servizi. Segno di un reale tentativo di manovrare la destinazione carceraria del padrino.


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Da Catania, il direttore generale del Trattamento al Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria ricorda la vicenda del pentito Gaspare Spatuzza nel momento in cui fa dichiarazioni contro il presidente del Consiglio. Ardita rricorda che Spatuzza mantenne il regime di tutela in carcere anche
quando fu estromesso dal programma di protezione.



"Si voleva che noi facessimo altrettanto - rammenta Ardita - e invece abbiamo mantenuto le misure di sicurezza in carcere, evitando che tornasse ad essere collocato tra gli altri detenuti non collaboratori. Ce ne siamo assunti la responsabilità. La
procura di Caltanissetta ne ha riconosciuto il merito, anche per averne sostenuto l'operato nel delicato processo sulle stragi".

Ardita, infine, difende il  collega Antonio Ingroia. "Il riferimento principale dei magistrati rimane la Costituzione. Non preoccupano affatto i magistrati che la difendono in ogni sede. Perché - sottolinea Ardita - la Costituzione rappresenta l'insieme dei valori che reggono la nostra società. E' verso la Carta che devono orientarsi i magistrati che amano la verita"'.

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