martedì 27 settembre 2011

Mafie & Uranio. Un'inchiesta paradigmatica




Articolo del 27 marzo 1998

di Pino Finocchiaro

SICILIA - E se la mafia avesse l'Atomica?

Tra Patti e Taormina gli incontri segreti dei trafficanti di Cosa nostra.
Ecco come una trattativa miliardaria si è svolta con retroscena da spy-story

 
Missili e uranio - Made in Sicily

L'indagine della Procura di Catania accerta una fitta rete di collegamenti internazionali, dallo Zaire alla Svizzera. Quando la presenza di Tano Grasso fece sfumare l'affare


Come in un film di spie, l’incontro avviene in un tiepido giorno di dicembre dell’anno scorso tra le strutture liberty della stazioncina di Taormina. Il mare azzurro a fare da scenario, parole sussurrate tra un caffè e un cappuccino. Parole di guerra: missili, nucleare, dollari, miliardi di lire. Sembra di assistere ad un summit della Spectre di bondiana memoria.

L’incontro garantito da un luogotenente di Santapaola, Salvatore Tringale, 41 anni, acese, e da uno di Cosa Nostra palermitana, Marco Murroni, 39 anni, romano, vede protagonista un messinese resi dente a Piraino, Paolo Cipriano, nato a Patti 43 anni fa e presto vedrà scendere in campo uomini della drangheta calabrese e della banda della Magliana di Roma. Ti servono dei missili tascabili? 8, 10, 20? Non c’è problema, caccia fuori i soldi.

Il pentito, Gaetano Fiamingo, già in contatto con la procura catanese e lo Scico della Guardia di Finanza mostra di accettare ed ecco il nuovo appuntamento è a Patti. Stanno per sedersi al ristorante ma Cipriano cambia idea: c’è Tano Grasso, quel rompiballe dell’antiracket. Potrebbe insospettirsi, meglio cambiare aria. Inizia così l’avventura dei trafficanti di materiale nucleare conclusasi nei giorni scorsi a Roma con l’intervento della Guardia di Finanza in una cascina di Pietralata.

La provincia di Messina si conferma ancora una volta al centro dei traffici di armi e componenti nucleari. Cosa Nostra mostra la sua disponibilità a trattare anche con gli emissari di un governo straniero - i finanzieri si sono spacciati per tecnici al soldo dello stato egiziano - chiarendo una volta per tutte la sua posizione di potenza ultraterritoriale. Da questo momento, con prova provata... potenza atomica.


L’azione dello Scico coordinata dal pm della Dda catanese Sebastiano Ardita, infatti, ha portato al sequestro di una barra di uranio arricchito di fabbricazione statunitense venduta allo Zaire per scopi di ricerca. La barra di uranio era stata acquistata in cambio di un versamento - solo virtua- le - di venti miliardi effettuato dalla finanza su un conto cifrato in Svizzera, messo a disposizione da un emissario della ‘ndrangheta, il calabrese Domenico Russo, che agiva in collaborazione con Salvatore Tringale, rappresentante di Nitto Santapaola nell’affare.


La barra di uranio, numero di matricola 6916, contiene 38 grammi di uranio 235 e 200 grammi di Uranio 238, arricchito al 20 per cento. La barra prodotta dalla General Atomic, di San Diego, California, è del tipo utilizzato sui reattori di ricerca modello Triga ma può essere usata per realizzare ordigni nucleari. Secondo le intercettazioni erano disponibili almeno 10 di queste barre. Il che mostra il limite autentico di queste indagini. La disponibilità di denaro solo “virtuale” ha costretto gli investigatori ad agire non appena messe le mani sulla barra campione.

Disponendo dei 200 miliardi richiesti da Cosa Nostra, invece, la trattativa sarebbe potuta continuare sino a scoprire le fonti di approvvigionamento dei trafficanti. Altro lato oscuro della vicenda, riguarda le fasi iniziali della trattativa quando si parla di missili portatili russi del tipo R32. Come mai al momento di chiudere l’accordo, i trafficanti si sono presentati con una barra di uranio da laboratorio? Avevano forse mangiato la foglia? O tentavano di truffare gli acquirenti egiziani? Anche su questo continuano ad indagare lo Scico di Roma e la Dda catanese che da almeno quattro anni cercava di mettere le mani addosso ad un carico nucleare.

La barra sequestrata a Roma, non lascia più adito a dubbi, Cosa Nostra è in grado di appropriarsi di armi di distruzione totale ma con quali fini? Con quali capacità di gestirle?

Il collaboratore Gaetano Fiamingo narra: “Paolo Cipriano mi propose di acquistare otto missili nucleari, dicendomi che l’offerta avrebbe dovuto essere rivolta ad esponenti di qualche governo. Indicai il governo egiziano. Alla mia domanda sulla provenienza dei missili si intromise nella discussione Murroni, il quale osservò che se i miei interlocutori fossero stati degli esperti non avrebbero avuto difficoltà a riconoscere i missi R 32, trafugati nella ex Unione Sovietica”. I documenti sugli R 32 giungono per fermo posta a Fiamingo pochi giorni dopo. A quel punto si danno appuntamento a Patti: “Ci dirigemmo verso un ristorante posto all’inizio della cittadina di Patti e mentre stavamo per entrare Paolo ci disse di allontanarci perché nei pressi aveva scorto la presenza di Tano Grasso, persona impegnata nella lotta al racket”. Cambiano ristorante e trovano un’intesa per rivedersi a Roma anche se Paolo Cipriano viene estromesso dall’affare.


Dopo una serie di trattative nelle quali entrano in gioco i funzionari della Finanza che agiscono sotto copertura, l’incontro decisivo avviene il 28 febbraio scorso. Ormai certi di poter mettere le mani sul combustibile nucleare - i finti ingegneri egiziani usano un misuratore di radioattività messo loro a disposizione da un’agenzia dell’Enea - i finanzieri fanno scattare le manette ai polsi degli emissari convenuti a Pietralata mentre i loro colleghi di Ponte Chiasso arrestano la squadra inviata a Lugano per verificare il versamento dei venti miliardi sul conto cifrato di “Mimmo” Russo. Ma chi si cela dietro la banda dell’Uranio? Le indagini dello Scico coordinate dal pm Sebastiano Ardita tentano adesso di appurarlo.


ESPLOSIVI / LA SPECIALITÀ DI BATTAGLIA


Traffico di armi e strage di Capaci. A parlare di una pista messinese nell’eccidio del maggio del ‘92, nel quale morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo ed alcuni agenti di scorta era stato, così come scritto da Centonove, la settimana scorsa, il pentito messinese, Luigi Sparacio, nel corso di alcuni interrogatori con l’ex sostituto procuratore peloritano, Angelo Giorgianni. Proprio durante la sua audizione all’Antimafia del 23 febbraio, l’ex sottosegretario aveva spiegato i dettagli di questa inchiesta. Alla domanda del deputato del Pds, Giuseppe Lumia, se aveva avuto l’opportunità di sentire il collaboratore di giustizia Luigi Sparacio, Giorgianni ha risposto. «L’ho sentito un paio di occasioni presso la Direzione nazionale antimafia, in riferimento all’indagine sul traffico di armi ed in particolare ad una circostanza... Sparacio riferì anche in un’altra circostanza, che però preferirei non riportare interamente perché credo sia oggetto di un’indagine (credo se ne stia occupando la Procura di Caltanissetta). Faccio solo presente che una persona - non dico il nome - mentre assisteva sua suocera a Roma, durante una conversazione, comunicò a Sparacio che gli poteva presentare un personaggio - che poi era Filippo Battaglia - il quale trafficava in armi e aveva svolto un ruolo fondamentale in alcuni delitti su cui si sta indagando, delitti di mafia che hanno suscitato notevole risonanza. A riprova di quella conversazione, lui fa riferimento ad una serie di telefonate che questa persona avrebbe fatto dal cellulare della suocera. Noi abbiamo fatto il riscontro sui tabulati e abbiamo verificato la veridicità di tale notizia».


Aggiornamenti


L'audizione parlamentare del pm Sebastiano Ardita.



http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/stenbic/39/1998/0421/s020.htm






Processo di primo grado.


«L'inchiesta sulle barre d'uranio per questa Procura si è conclusa con la sentenza del tribunale. Se ci sono ricerche in corso non sono coordinate da noi». Lo ha detto il procuratore di Catania Mario Busacca, commentando la notizia riguardante la ricerca di sette barre d'uranio in Italia da parte del Gico della Guardia di Finanza. Le sette barre d'uranio arricchito 235 e 238 di fabbricazione americana scomparse da diversi anni, potrebbero essere state immesse sul mercato italiano. Esponenti di gruppi criminali avrebbero cercato di vendere nel nostro Paese il materiale radioattivo a gruppi terroristici interessati a realizzare ordigni nucleari.

La vicenda fu al centro di un'inchiesta della Procura di Catania nei confronti di tredici persone accusate di avere tentato di vendere in Arabia una barra che conteneva il 20 per cento di uranio radiottivo. Il processo, davanti ai giudici della prima sezione del Tribunale di Catania, si concluse con la condanna degli imputati a pene comprese tra 2 anni e 1 mese e 4 anni e 6 mesi di reclusione per «tentativo di esportazione di materiale a duplice uso».


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Gli imputati erano stati arrestati il 20 marzo del 1998 dalla guardia di finanza, che sequestrò anche una barra di uranio, nell'ambito di un'indagine su un presunto traffico internazionale di armi nucleari. Le perizie sulla barra accertarono successivamente che era stata irraggiata dell'isotopo soltanto al 20%, e che pertanto non era utilizzabile per costruire un'arma nucleare.


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